Comune di Leonforte
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Quella delle tavolate chiamate “l’Artara di San Giuseppe” è una lunga tradizione che si ripete ogni anno, da circa 400 anni, il 18 e il 19 marzo. Nasce dalle promesse di voto al Santo a seguito della richiesta di una grazia: la salute, il lavoro, una casa, il benessere generale per la famiglia. “Gli artara” sono appunto grandi tavolate che occupano le stanze di comuni appartamenti, garage o ville. Gli organizzatori creano una mappa che segna le vie e i quartieri dove sono allestiti gli altari per essere distribuita ai visitatori e facilitarne il percorso. Per indicare il luogo esatto si può trovare una piccola luminaria a forma di stella o qualche suonatore.
Alla realizzazione e alla riuscita di ogni altare prendono parte non solo i familiari di chi ha fatto la “prummisione” ma anche amici e vicini di casa che per circa un mese si adoperano per realizzare la struttura e per raccogliere, nelle campagne, cardi e finocchi. Le donne invece sono le protagoniste ed artefici dell’allestimento di queste incredibili tavole, dedicano giornate intere alla preparazione, a impastare, intrecciare e infornare il pane, a friggere verdure e bollire legumi, a ricamare organze e merletti, a raccogliere e disporre con premura e massima attenzione le vivande sulle tavole, e a condividere generosamente con la collettività la loro gioia per una grazia ricevuta tramutata in un vero e proprio paradiso di delizie gastronomiche.
Non è semplice descrivere un altare ma ci proviamo: le tavole vengono apparecchiate con candide tovaglie ricamate e il cibo disposto secondo criteri ben precisi, dettati da una rigida gerarchia. Ben in evidenza sono posizionate le cudduri, pani di grandi dimensioni artisticamente intrecciati e lavorati. Diverse nella forma e ricoperte sulla superficie da piccoli simboli, “autentici capolavori di minuteria”, ci danno indicazioni su quali e quanti santi prenderanno posto a tavola. A tal proposito G. Algozino ( 2006) ce ne offre una descrizione dettagliata: «in ordine: a) per la cuddura do Signuri: colomba, mela e pera, carciofo, spighe di grano e grappoli d’uva, tre chiodi, corona di spine, tenaglia e martello, croce con l’iscrizione INRI, lenzuolo della deposizione, scala; b) per la cuddura da Madonna: mano con anello nuziale, foglia di niputedda (erba amara), rosa, colomba, grappoli d’uva e corona del rosario; c) per u vastuni di San Giusé ( bastone di San Giuseppe): barba, cufittedda con gli arnesi di lavoro del falegname, cioè l’ascia, la sega, il filo e il martello» e così via per Sant’Anna, San Gioacchino, per la Maddalena, per San Giovanni, San Pietro, etc etc.
La vista dell’artaru lascia l’osservatore a bocca aperta poichè oltre alla raffinatezza artistica delle cudduri è uno straripare di cibo disposto seguendo principi estetici che variano a seconda dalle scelte operate da chi lo allestisce, un tripudio di colori, un’abbondanza di viveri che non lascia vuoto nemmeno un brandello della tavola – colmo di pani di vario peso e dimensione (guasteddi, pupiddi, rametta), uno stupirsi per la bellezza della disposizione della frutta (prevalentemente arance e limoni), della verdura (cardi e finocchi), dei legumi ( fave e ceci ) e dei dolciumi vari (‘i spinci, ovvero polpette di mollica di pane fritte e ricoperte di zucchero, ma anche torroni e caramelle). In nessun altare è presente la carne che non viene consumata durante la Quaresima.
Il tutto ha inizio la mattina del 18 marzo, quando un sacerdote fa il giro del paese per benedire non solo gli artara ma altresì una grande quantità di pane ( anticamente lavorato a mano, come si fa con le cuddure) che verrà dato in dono a chiunque passerà a visitare l’altare. Una volta ricevuto il pane, non si deve mai dire grazie, ma, al massimo, per esser cortesi, “auguri”.
Nel pomeriggio del 18 giungono a Leonforte numerosi visitatori per trascorrere una serata all’insegna della devozione ma anche per gustare vini, cardi, sfingi, “pupidduzzi”, il pane benedetto, le tipiche polpette di finocchio ed altri prodotti territoriali offerti e distribuiti gratuitamente dai padroni di casa e/o dagli organizzatori dopo avere recitato una “raziunedda”, preghiera in dialetto leonfortese avente come protagonista il Patriarca e la Sacra Famiglia e che narrano la vita di Gesù, di solito dette da intraprendenti ragazzini che così si guadagneranno i pupiddi da portare al collo tenuti insieme da uno spago fatto passare attraverso il foro centrale del pane, fregiandosi di questa insolita collana col medesimo orgoglio con cui un Generale sfoggia le sue mostrine.
Per tutta la notte, fino alle prime luci dell’alba, gruppi di persone si riversano per le strade per visitare gli “Artara” Un lungo peregrinare alla ricerca degli altari segnalati, un tempo con una semplice scatola di scarpe foderata e illuminata su cui si leggeva W S.G. (Viva San Giuseppe), oggi magari sostituita da una stella punteggiata di numerose luci.
A mezzogiorno del giorno 19, la cerimonia conclusiva con la partecipazione dei santi ai quali verrà distribuito quanto imbandito sull’altare. Questi, all’inizio della tradizione, erano reclutati tra le famiglie più indigenti, quando la povertà endemica molto diffusa dava luogo a situazioni desolate di vera fame. Ciò consentiva, ai poveri di ricevere quanto permettesse loro di che sostentarsi per qualche settimana; e all’artefice dell’altare di assolvere al voto fatto. Ad ogni santo, con precisi rituali, viene distribuito un corredo di vivande consistente in un porzione o piatto di ogni cosa, non prima però che il padrone di casa, con un rito che vagamente ricorda quello dell’ultima cena, abbia provveduto loro alla lavanda ed al bacio dei piedi, atta a render puro colui che sta per prender parte alla mensa celeste – prevede che il piede del Cristo venga baciato dagli altri santi (Maria, Giuseppe, e così via) e dai parenti del proprietario di casa.
Tutto quel che resta del cibo dell’altare – fatta eccezione per la “cuddure dei santi” e per la “spera”, conservate con devozione dal proprietario di casa – verrà messo a disposizione di chi è stato presente alla “cena”, su di un tavolo appositamente apparecchiato fuori l’abitazione, per strada.
Nei due giorni di festa Leonforte si ferma e l’intera popolazione è a disposizione dei visitatori.